Posare e Giocare

Ormai è un anno che stiamo vivendo questa situazione pandemica che per forze di cose ha modificato le nostre abitudini e soprattutto il nostro modo di esplorare ed esplorassi.

Probabilmente modelle e modelli stanno facendo fatica a trovare sbocchi lavorativi remunerativi, motivo per cui il low budget è all’ordine del giorno.

Non vorrei soffermarmi sulla correttezza o meno dell’accettare incarichi poco ricompensati, ma sulla possibilità di mettersi in gioco.

Il voyeurismo è insito in noi, ci sono trattati e studi che lo dimostrano, pertanto quella voglia di scoprirsi modelle o modelli, credo debba continuare ad essere alimentato a discapito di una “reclusone” necessaria di questi tempi.

Al pari delle persone che ne conosco il significato, ci sono altrettante persone che hanno voglia di fotografare, che hanno voglia di imparare, o meglio che hanno voglia di sperimentare.

Quando si parla di Time For sembra che ci si debba avventurare in paludi piene di insidie; modelli che hanno paura di ritrovarsi da soli con il fotografo “maniaco”, fotografi che pensano di meritare un onorario degno di nota per il solo fatto di aver speso oltre 1000 euro per una fotocamera.

Il mio problema con l’onorario è dato dal fatto che spesso penso di non valere abbastanza!

Può darsi che il problema dello scoprirsi per le persone che desiderano farsi fotografare, sia anche per loro il pensare di non valere abbastanza.

Ed è qui che si concentra la mia riflessione.

Io credo fermamente che non sia nulla di male nel proporsi da ambedue le parti.

Se il tuo ego ti porta a riflettere sulla tua immagine, se hai sempre pensato di farti fotografare ma non lo hai mai fatto, se non hai budget per ingaggiare un fotografo professionista, io credo fermamente che non ci sia nulla di male nel proporsi.

Proporsi anche a chi sta alle prime armi, perché la fotografia non è solo tecnica, ma anche sentimento. Le emozioni le può provare chiunque e solo anime sensibili riescono a leggerle attraverso delle immagini.

Ecco, un mettersi in gioco giocando.

Che non sia proprio quell’opportunità che non abbiamo mai preso in considerazione.

Pensaci!

Piero Colafrancesco

Dal non cercare ma dal farmi trovare.

Non per tutti questo periodo di lockdown ha rappresentato uno stop, forse per più di qualcuno una pausa, ma di sicuro c’è chi ha visto annullati e rinviati impegni fotografici per i prossimi mesi.

Minette in the Last Day of Summer – Workshop Simone Passeri

Realisticamente si può aspettare che il tutto riparta, cercando di sopravvivere professionalmente in questo marasma di paure e distanze. Si può investire su se stessi oppure alienarci di pessimismo cosmico. Si può continuare a riflettere ed osservare cosa ci succede e c’è successo dentro.

Oggi mi sono imbattuto in un video di Ezio Bosso che scherzava con il pubblico e i loro telefonini, dicendo che non abbiamo bisogno di cercarci, ma di trovarci… per esempio trovarci nella musica!

Io direi che forse abbiamo bisogno di trovarci anche in altre cose.

Durante questi due mesi ho visto e notato che tanti si sono preoccupati di non far scendere l’attenzione social sui propri profili, diciamo si sono preoccupati della propria “web-reputazione”; tanti si sono avventurati in progetti più o meno condivisibili (fotografare una Piazza San Pietro vuota a mio avviso non aveva senso visto che la stessa foto poteva essere scattata alle 4:00 di un qualsiasi giorno dell’anno); tanti ce l’hanno fatta con progetti originali ed interessanti.

Dalla mia mi sono messo in ascolto del “niente”, un rumorosissimo “vuoto”. Ho continuato a cercare boh qualcosa o qualcuno, ma parafrasando Bosso, senza trovarci qualcosa o qualcuno.

Ed è proprio dal vuoto che vorrei ripartire, dal non cercare ma dal farmi trovare, trovandoci.

© Piero Colafrancesco

Spettattore de “Il Tempo del Coronavirus”

Vogliamo definirlo “periodo” oppure “tempo”, il punto è che stiamo vivendo qualcosa di nuovo per noi nati nel dopoguerra.

Probabilmente sarà riportato nei libri di storia, ma tutti sappiamo che con i programmi scolastici di oggi, difficilmente si avrà mai tempo di arrivare a studiarlo. E allora se ne tornerà a parlare inevitabilmente con noi in futuro, noi quelli che hanno vissuto queste giornate e che nel frattempo saremo invecchiati.

Gli anziani, scrigni di sapere e di storie che trasportano fieri questo bagaglio lungo la strada della vita senza affaticarsene; gente che oggi ci sta lasciando e con essi, il sapere del “tempo”.

Eppure sono sempre loro che ci hanno raccontato di grandi cambiamenti dopo un grande disastro.

Non so cosa succederà a livello economico, non sono un economista, non riesco ad immaginare quali stravolgimenti o negatività ci porteremo dietro, ma so con certezza che sto vivendo uno stato d’animo mai vissuto prima.

Ho sistemato dei lavori sospesi, continuo a sistemarne di altri, mi guardo tutorial, webinar, salotti telematici, ho sempre la finestra dell’Ansa aperta, mi perdo nel web seguendo lavori autoriali, mi vado a leggere la vita e le esperienze di fotografi che hanno fatto la storia della fotografia, tutto con la consapevolezza di avere addosso qualcosa.

Forse un velo che mi fa da diffusore, che mi smorza i contrasti, che forze mi protegge dall’esterno.

Lucien Clergue – Urban Nudes

Ed inizio a riflettere sul se questo mio stato d’animo condizionerà o muterà inevitabilmente il mio modo di guardare il mondo, oppure se mi scivolerà addosso senza lasciarne traccia. Mi chiedo se questo condizionamento potrà in qualche maniera modificare l’operato dei maestri, dei creativi e dei visionari, o arrivare a mutarlo in qualcosa di inimmaginabile.

Non lo so e forse è prematuro pensarci oggi, ma di una cosa sono certo. Non voglio in alcun modo essere uno spettatore, ma uno “spettattore”!

Intanto resto a casa e mi proteggo, oltre che proteggere i miei cari.

Piero Colafrancesco

Figlio della mia “idea di fotografia”

Ormai ci sono fiumi di parole sul fatto che non stampando le foto, si perderà la memoria di quello che sta succedendo. Addirittura c’è chi sostiene che il 99% delle foto scattate non interessa a nessuno, neppure a chi le scatta e rimarranno sepolte negli hd dei nostri computer o nei cloud.

C’è tutto un movimento culturale che prova a muovere questo disinteresse verso le coscienze, quasi a far venire i sensi di colpa non tanto per non aver stampato, me neanche pensato di farlo.

Le foto che scattate normalmente spariranno nel dimenticatoio per l’eternità, e sarebbe ora di farse una ragione” Chris Taylor.

Ecco appunto, è arrivata l’ora di farsene una ragione.

Se tutto il mondo sta andando verso la fruibilità diffusa dei device, se ormai le case produttrici di cellulari sono arrivate a dotare il telefono di camere dalla qualità quasi superiore a quelle delle fotocamere, se gli stessi utenti scattano migliaia di immagini alla ricerca di quella foto giusta che regalerà quel momento di gloria sui social network, beh allora lasciamolo andare.

Almeno proviamoci a lasciarlo andare!

A mio avviso chi ama la fotografia, la vive, la studia, non può e non deve rimanere impantanato in questo marasma di qualunquismo. E’ superficiale e troppo semplice dare colpe a quello che sta succedendo a livello sociale.

Io credo che sta ad ogni fotografo portare avanti la propria “idea di fotografia”. Che questa sia commercialmente sbagliata o giusta non importa. Io parlo di idea, quella che parte dalla sua passione, dal suo cuore, dal suo intuito.

Che si decida di scattare in digitale o in analogico, questo non influisce sull’anima della sua idea.

Una riproduzione di un ritratto realizzato da Michael Shindler

Nella mia idea per esempio c’è l’odore della carta, c’è l’odore della chimica, c’è il tatto, c’è il controllo della manualità, e lo ammetto, non sono capace di fare foto decenti con il telefono.

Ma questo non mi porta ad avercela a tutti i costi con chi ha gli hd pieni di scatti che dormono un sonno infinito.

Io sono affascinato da chi porta avanti al sua idea; dal Damiano di turno che una volta a settimana si chiude in camera oscura per far “vivere” lastre scattate con banco ottico. Che le lastre siano sue o di Riccardo non importa, quello che importa è che ci siano due persone che portano avanti la loro “idea di fotografia”.

E allora cara mamma, lascia che la tua fotografia vada per il mondo, e se questa riuscirà a non confondersi con la massa, vorrà dire che hai lasciato qualcosa in più che non un semplice insegnamento.

Figlio della mia “idea di fotografia” e contento di esserlo.

“Sono l’imperfezione giusta per tutte le donne, infedele ai prototipi”

Per caso mi sono imbattuto su di un profilo Instagram che in maniera del tutto personale, sponsorizza il suo prodotto.

Nulla di strano se immaginiamo che ce ne sono migliaia sul web che fanno la stessa cosa, nulla di strano se questo profilo è di una donna, nulla di strano se il motivo di queste foto si rifanno tutte o quasi allo stesso motivo.

Ma qualcosa non mi torna, c’è una sorta di aggressività in queste immagini, non costruita dal fotografo, che mi sembra espressione naturale del soggetto.

Aggressività mischiata a sensualità, a femminilità, alla voglia di ribaltare qualche forma di schema mentale.

Quello che viene pubblicizzato è una linea di intimo di una stilista emergente.

Saltano gli schemi tipici del glamour per questa categoria merceologica.

Saltano le belle modelle da carta patinata.

Saltano le location di grandi hall di alberghi vittoriani.

E’ lei ad essere immortalata nelle immagine ed è lei che guarda in macchina con aggressività.

Guardo, sfoglio, osservo… chiedo!

Questo modo di mischiare fotografia e prodotto, è il risultato a mio avviso geniale, per far venire fuori “l’imperfezione giusta per tutte le donne”.

Si va ad insinuare nella disabilità cognitiva dell’uomo di riconoscere solo prototipi!

Da qui l’essere… Infedele ai prototipi.

© piero colafrancesco