Spettattore de “Il Tempo del Coronavirus”

Vogliamo definirlo “periodo” oppure “tempo”, il punto è che stiamo vivendo qualcosa di nuovo per noi nati nel dopoguerra.

Probabilmente sarà riportato nei libri di storia, ma tutti sappiamo che con i programmi scolastici di oggi, difficilmente si avrà mai tempo di arrivare a studiarlo. E allora se ne tornerà a parlare inevitabilmente con noi in futuro, noi quelli che hanno vissuto queste giornate e che nel frattempo saremo invecchiati.

Gli anziani, scrigni di sapere e di storie che trasportano fieri questo bagaglio lungo la strada della vita senza affaticarsene; gente che oggi ci sta lasciando e con essi, il sapere del “tempo”.

Eppure sono sempre loro che ci hanno raccontato di grandi cambiamenti dopo un grande disastro.

Non so cosa succederà a livello economico, non sono un economista, non riesco ad immaginare quali stravolgimenti o negatività ci porteremo dietro, ma so con certezza che sto vivendo uno stato d’animo mai vissuto prima.

Ho sistemato dei lavori sospesi, continuo a sistemarne di altri, mi guardo tutorial, webinar, salotti telematici, ho sempre la finestra dell’Ansa aperta, mi perdo nel web seguendo lavori autoriali, mi vado a leggere la vita e le esperienze di fotografi che hanno fatto la storia della fotografia, tutto con la consapevolezza di avere addosso qualcosa.

Forse un velo che mi fa da diffusore, che mi smorza i contrasti, che forze mi protegge dall’esterno.

Lucien Clergue – Urban Nudes

Ed inizio a riflettere sul se questo mio stato d’animo condizionerà o muterà inevitabilmente il mio modo di guardare il mondo, oppure se mi scivolerà addosso senza lasciarne traccia. Mi chiedo se questo condizionamento potrà in qualche maniera modificare l’operato dei maestri, dei creativi e dei visionari, o arrivare a mutarlo in qualcosa di inimmaginabile.

Non lo so e forse è prematuro pensarci oggi, ma di una cosa sono certo. Non voglio in alcun modo essere uno spettatore, ma uno “spettattore”!

Intanto resto a casa e mi proteggo, oltre che proteggere i miei cari.

Piero Colafrancesco

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